(santalessandro.org).-Giovanni Tridente, profesor de la Universidad Pontificia de la Santa Cruz, donde dirige los Servicios de Comunicación y enseña periodismo de opinión, traza la relación entre la Iglesia y las tecnologías de última generación, con una mirada específica a los últimos avances en el campo de la Inteligencia Artificial (IA), es decir, la capacidad de una máquina para mostrar capacidades humanas como el razonamiento, el aprendizaje, planificación y creatividad en tres capítulos del volumen «Anima digitale» (Tau Editrice 2022, Prefacio de Mons. Lucio A. Ruiz, Secretario del Dicasterio para la Comunicación, pp. 228, 20 euros) con el subtítulo «La Iglesia a la prueba de la Inteligencia Artificial».
Hablamos de ello en la entrevista a Giovanni Tridente, entre otras cosas editor de la revista española OMNES y especializado en información religiosa y misión de la Iglesia en el ámbito digital, a quien ha dedicado algunas publicaciones.
- ¿Es el título del libro el hilo conductor de toda la narración?
«El título del libro, Digital Soul, quiere ser, como todas las iniciativas editoriales de este tipo, una especie de provocación. De hecho, no hay alma que pueda convertirse en algo digital y no hay digital que realmente pueda tener un alma. Pero la lectura que debe hacerse se refiere precisamente a estos dos contextos. Por un lado, queremos reflexionar sobre el hecho de que hay una necesidad de poner el alma incluso en esta área ahora tan penetrante de nuestra historia y nuestras vidas, y el único que realmente puede «entrar» en ella es el ser humano. Por lo tanto, la lectura correcta podría ser: ¿podemos equipar lo digital con un alma? ¿Podemos asegurarnos de que no sea perjudicial para el hombre (el único dotado de alma), sino que se convierta en un compañero fiel que resuelva los problemas en lugar de crearlos? ¿Tiene sentido estar presentes, como hombres, en estos desafíos, tiene sentido dar nuestra opinión en la fase de construcción de artefactos? Aquí es donde comienzan las preguntas y el libro que escribí trata de identificar respuestas».
- La Inteligencia Artificial es una gran oportunidad para la sociedad actual, pero también un gran reto. ¿Cómo ha sido la Iglesia, y en consecuencia la prensa católica, en estos años?
«Cada invención humana siempre ha representado en la historia un hito importante para el desarrollo futuro de la humanidad y siempre ha registrado, por un lado, las reacciones pesimistas de aquellos que temían consecuencias drásticas y, por otro, el optimismo excesivo de aquellos que miraban solo el aspecto funcional de cada descubrimiento. La Iglesia, por su parte, con su tiempo, con su sabiduría, con su conocimiento del pasado y alimentada por una visión espiritual de la fe, se ha colocado en una tercera posición, de prudencia pero también de esperanza, tomando el tiempo adecuado para analizar hasta el final las consecuencias extremas de toda innovación. Lo hace no por miedo o indiferencia, sino precisamente porque realmente se preocupa por la persona humana y debe preservarla de posibles riesgos y peligros. Lo mismo ha sucedido y está sucediendo con la Inteligencia Artificial y con todo lo que sigue en términos de impacto en la vida de las personas.
La prensa católica, en particular La Civiltà Cattolica, que es el medio que he analizado, ha estado hablando sobre estos temas durante al menos cincuenta años, y lo ha hecho con el fin de apreciar todo el bien que aportan al hombre y a la sociedad. Entre los pioneros de esta reflexión no se puede dejar de mencionar al jesuita Roberto Busa, a quien mencioné con razón en el libro».
- Juan Pablo II ya había tratado este tema crucial en cuatro discursos, pero Benedicto XVI ha tratado el tema sólo una vez en su pontificado. ¿En qué ocasión?
«È vero, nella mia rassegna di pronunciamenti papali sui temi dell’IA c’è un solo testo attribuibile a Benedetto XVI. Ma qui va fatta una precisazione di fondo. I termini che ho cercato per l’analisi hanno riguardato i concetti di “robotica” e “intelligenza artificiale”, che anche se sono due ambiti totalmente diversi, negli ultimi decenni del secolo scorso – regnante Giovanni Paolo II – erano quasi intesi come sinonimi in ambito ecclesiale. Ecco perché si trovano comunque diversi pronunciamenti del pontefice polacco. Benedetto XVI si trova a cavallo di un periodo in cui la riflessione degli organismi vaticani stava appena iniziando a moltiplicarsi seguendo anche l’evoluzione che si registrava nella società in maniera accelerata, cosa che è avvenuta di fatto soltanto nell’ultimo decennio. Ecco perché poi i testi riferibili a Papa Francesco sono quelli più numerosi.
Tornando a Benedetto XVI, l’intervento individuato risale al 21 ottobre 2006, qualche mese dopo l’inizio del suo pontificato e riguarda la visita alla Pontificia Università Lateranense a Roma per l’inizio dell’anno accademico. Nel suo discorso Ratzinger affronta il tema “della crisi di cultura e di identità” che caratterizza l’epoca contemporanea e riconosce le Università quali “uno dei luoghi più qualificati per tentare di trovare le strade opportune per uscire da questa situazione”. Come si vede, un monito imprescindibile che ha poi riguardato anche la mia scelta di occuparmi di questi argomenti in quanto studioso universitario.
Riferendosi espressamente all’“intelligenza artificiale”, Ratzinger accenna al rischio che il contesto contemporaneo diventi “succube della tecnica sperimentale”, dimenticando che il compito della scienza è quello di “salvaguardare l’uomo e promuovere la sua tensione verso il bene autentico”. Si tratta di mantenere un equilibrio affinché ogni esistenza abbia “un solido fondamento e una valida finalità”, oltre a puntare a “una visione più profonda” della vita. Non bisogna, insomma, inseguire il mito della libertà a tutti i costi senza pensare anche alle conseguenze delle nostre azioni».
- Recentemente Papa Francesco ricevendo in udienza i firmatari del documento “Rome Call” sull’uso etico dell’Intelligenza Artificiale, riuniti in Vaticano per un incontro organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita e la Fondazione renAIssence, ha dichiarato: “La vita non può deciderla un algoritmo, servono etica e rispetto”. Che cosa ne pensa?
«La domanda, e la risposta etica, è proprio ciò che sta più a cuore alla Chiesa, ai pontefici, alle accademie pontificie che vi hanno dedicato diversi congressi per riflettervi e per trarne dei principi da condividere con la società intera. Lo stesso è avvenuto con la Rome Call for AI Ethics promossa dalla Pontificia Accademia per la Vita, di cui è presidente l’Arcivescovo Vincenzo Paglia. L’iniziativa è stata presentata come espressione della consapevolezza circa l’uso, il significato e l’impatto etico delle tecnologie, dato che si tratta di un settore che coinvolge l’intera famiglia umana.
Disponibile in inglese, viene indicata come un “documento di impegni condivisi” attraverso il quale stimolare il senso di responsabilità di organizzazioni, governi, istituzioni e settore privato per un futuro in cui i progressi tecnologici e l’innovazione digitale siano al servizio del “genio umano” e della creatività, senza per questo provocarne una graduale sostituzione. Ed è un po’ ciò che ha ribadito anche Papa Francesco in questa recente udienza, in cui ha accolto i firmatari delle religioni ebraica e musulmana che hanno aderito alla Call, a dimostrazione che si tratta di un interesse che riguarda ormai davvero tutti».
- Quando nel testo parla di “visione dell’uomo” a che cosa si riferisce?
«Mi riferisco alla domanda su quale tipo di società intendiamo consegnare alle future generazioni. Se una società schiava delle tecnologie, che non prende consapevolezza della sua autonomia e della capacità di governarla. Oppure una società che, al contrario, ha come unica condizione imprescindibile la salvaguardia del “bene comune” e di ciò che deve essere al servizio dell’uomo e non piuttosto servirsene, manipolandolo e schiavizzandolo. In sintesi, come “visione dell’uomo” si intendono le prerogative che l’essere umano si riserva per essere lui il gestore ultimo dell’uso che si possa e si debba fare di queste innovazioni».
- Cita anche gli ultimi sforzi di regolamentazione in seno all’OCSE e alla Commissione Europea. Ce ne vuole parlare?
«Il tema della regolamentazione di tutto ciò che attiene al vissuto sociale dell’essere umano è un qualcosa che, da una parte, espone alla percezione di venire limitati nella propria libertà; dall’altra, potrebbe comunque causare dei freni all’innovazione e allo sviluppo se intesa – ad opera dei cosiddetti organi garanti – in maniera assolutamente coercitiva. Eppure, di fronte a scoperte che hanno forti incidenze e inevitabili conseguenze sull’uomo, sulla sua autonomia, libertà o specifiche “prerogative”, risultando al tempo stesso ancora indeterminate per quanto attiene al loro completo sviluppo e alle loro definitive applicazioni, si rende necessario definire dei paletti entro cui queste innovazioni possano muoversi.
Tutto ciò non può venire dal singolo individuo o dal mondo scientifico che specula sulle scoperte o ancora dalla singola azienda che ne produce gli artefatti. Gli unici in grado di commissionare, organizzare e definire regole di “buona innovazione” sono gli Stati od organizzazioni tra Stati, che hanno la possibilità di valutare ad ampio raggio gli effetti, che poi si traducono in fattore economico, di questi nuovi sistemi. Nel caso dell’IA sta accadendo lo stesso, e ciò almeno a partire dal 2019, quando si è fatta più diffusa la domanda di prevenire abusi o conseguenze nefaste da parte di macchine che hanno cominciato ad acquisire una certa “autonomia”, oltre al più generale impatto economico che stanno causando al mondo del lavoro».
- ll testo è arricchito dalle interviste a Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, al teologo-astronomo Giuseppe Tanzella-Nitti e alla giornalista Barbara Carfagna. Cosa ha risposto Mons. Paglia quando gli ha chiesto: “Ci possono/debbono essere dei limiti al benessere, e al benessere tecnologico?”.
«La preocupación del arzobispo era aclarar que frente a los tipos de bienestar, la actitud debe ser tratar de extenderlo a todos, y no más bien reservarlo para una pequeña parte de la humanidad». Tenemos todo un planeta que salvaguardar y debemos garantizar que 8 mil millones de seres humanos tengan las mismas condiciones mínimas para nacer, vivir, crecer, desarrollarse y morir. De manera que respete la dignidad humana». Este no es solo un desafío que se puede ganar con tecnologías, enfatizó Paglia, sino más bien en la perspectiva de la encíclica del Papa Francisco «Fratelli Tutti». Es decir, debemos finalmente y una vez reconocernos unos a otros como hermanos y hermanas entre nosotros, parte de la misma humanidad, de una raza humana. A partir de este reconocimiento comienza el cambio, de hecho, la revolución antropológica de una humanidad que se mueve junta».