Francesco all’Angelus di ieri ha consegnato alle famiglie un incarico difficile ma necessario: ritornare a comunicare. L’esperto, Bruno Mastroianni: si può fare ma serve darsi dei limiti, trovare forme di vita connessa virtuose e sostenibili
(vaticannews.va/it).-Teste e sguardi chinati, dita impegnate a chattare vorticosamente e un silenzio che “sembra di essere a Messa”: il Papa all’Angelus di ieri, mentre la Chiesa celebrava la festa della Sacra Famiglia di Nazareth, ha scattato una triste istantanea dei pranzi e delle cene che genitori e figli consumano in casa, alienati dagli smartphone, senza più condividere nulla, eccetto lo spazio del tavolo attorno al quale siedono.
I tre componenti di questa famiglia si aiutano reciprocamente a scoprire il progetto di Dio. Loro pregavano, lavoravano, comunicavano. E io mi domando: tu, nella tua famiglia, sai comunicare o sei come quei ragazzi a tavola, ognuno con il telefonino, mentre stanno chattando? In quella tavola sembra vi sia un silenzio come se fossero a Messa … Ma non comunicano fra di loro. Dobbiamo riprendere il dialogo in famiglia: padri, genitori, figli, nonni e fratelli devono comunicare tra loro …
La famiglia invece oggi lungi dall’essere il luogo del convivio dove la parola e le risate si alternano al cibo, risulta troppo spesso demolita dalla chiusura, dal silenzio appunto, foriero tra l’altro di incomprensioni e conflitto, che l’uso illimitato e sbagliato della tecnologia ha provocato. Ma a tutto questo c’è rimedio, basta darsi dei limiti e delle regole, cercare nella tecnologia le cose buone e virtuose, evitare il più possibile lo scollamento tra la vita on line e quella off line, dice a Vatican News Bruno Mastroianni, giornalista e social media manager.
R. – Direi che quello della comunicazione è un tema centrale, anche perché nelle relazioni o c’è comunicazione o le cose non funzionano; tra l’altro è interessante il paragone che il Papa ha fatto con la Messa: perché se è vero che una persona a Messa esteriormente sta in silenzio, interiormente invece ci deve essere proprio quel dialogo con Dio che attraversa tutta la celebrazione. (Cosa che davanti ad uno smartphone è difficile da alimentare!) Quindi anche in famiglia è molto importante che si veda, si manifesti che ci si vuole bene proprio perché si parla, perché si condivide…
C’è qualche consiglio paratico che vuoi darci, in particolare ai giovani, ai quali il Papa si rivolge per primi, per metter via il cellulare e ricominciare a comunicare?
R. – Intanto ricorderei che non sono solo i giovani. Il Papa ha fatto un riferimento diretto ai giovani che stanno sul telefonino e chattano; ricorderei che anche i meno giovani, cioè i genitori, gli adulti, spesso hanno questo problema e non sono di esempio. Il problema non è tanto il telefonino in sé, ma che significato diamo al nostro essere connessi. È chiaro che se una persona si mette online mentre è a cena, è come se non desse significato a quel momento preciso, in cui invece si ha l’occasione di condividere qualcosa con gli altri. Direi quindi che il primo consiglio – che poi è la base – è darsi dei limiti, cioè mettere via il cellulare quando non è il caso di usarlo, ma poi ci vuole l’altezza e la profondità, cioè cercare il senso che vogliamo dare ai nostri momenti che viviamo con gli altri, perché mettersi solo dei limiti, dei divieti – spegniamo il cellulare, mettiamolo via, quindi il semplice “off”, non basterà per accendere le nostre relazioni.
Tra l’altro il messaggio che il Papa ha voluto darci colpisce ancora di più, perché lui è davvero un campione di comunicazione, di quella comunicazione che non ha niente di virtuale, ma che si fa con i gesti, con gli abbracci, i sorrisi, le parole per tutti … Quindi questa sollecitazione arriva da un esempio credibile. Tu dicevi: i genitori devono dare l’esempio. Il Papa lo dà …
R. – Sì. Il Papa ha un modo di comunicare secondo me molto interessante, che è quello di fare spazio all’altro. Lo si vede proprio anche nella sua gestualità, nel suo modo di stare con le persone, anche quando non parla, quando semplicemente sta nella folla; si vede come Lui adotta proprio una prossemica in cui fa entrare l’altro che gli dà qualcosa, fa entrare l’altro nel suo spazio. Credo che questo sia un modello di comunicazione molto interessante, che si può riproporre in famiglia, perché noi spesso abbiamo una visione muscolare della comunicazione: dobbiamo dire qualcosa, fare qualcosa. Anche nei confronti dei giovani, i genitori devono dire qualcosa ai figli. Invece la maggior parte delle volte, si tratta di crear quello spazio per cui il figlio o l’atro in generale possa esserci, possa dire qualcosa di sé, possa mostre qualcosa di sé. Lì, quello spazio, diventa condivisione e comunicazione.
L’invadenza degli smartphone nel mondo, nella vita reale, è però sotto gli occhi di tutti. Divorano, fagocitano le relazioni sociali. Si può guarire da questa ‘patologia’ oppure la non comunicazione, quella che il Papa addita, l’isolamento la perdita di interesse, sono un processo irreversibile?
R. – Assolutamente non sono una condanna. Chiaramente gli interessi commerciali delle piattaforme e delle grandi compagnie tecnologiche comportano il fatto di attirare il più possibile la nostra attenzione e il nostro tempo su quelle piattaforme. Da parte nostra, quello che dobbiamo fare è lavorare proprio sulla comunicazione. Non è solo una dieta che dobbiamo fare, anche se poi la dieta è importante, ma è anche incominciare a nutrirsi di cose buone e nutrienti, cioè usare la connessione per dare significato alla propria vita, per costruire qualcosa, per informarsi, per comunicare.
Potremmo dire che la comunicazione vien comunicando, quindi si comincia magari in famiglia e poi anche fuori, negli altri ambiti relazionali …
R. – A volte noi dividiamo mentalmente off line – on line, come se off line fosse tutto apposto e on line tutti problemi. In realtà noi siamo in continuità, come dice Luciano Floridi, la “Onlife”: la nostra vita è una vita contemporaneamente connessa nel digitale, ma anche nell’analogico, nel fisico, negli incontri che facciamo. Dovremmo vivere il più possibile un’unità in equilibrio in cui siamo le stesse persone on line e off line, cercando significati, provando a costruire relazioni e non a distruggerle. Credo che questo ci potrà aiutare a scegliere quando è il momento di guardare lo schermo e quando è il momento invece di guardare in faccia l’altra persona. Questa sfida è grande, perché significa che noi dobbiamo essere uomini all’altezza della connessione. Questo vuol dire non soltanto aver paura degli usi negativi che stanno venendo fuori da alcuni eccessi, ma incominciare a diventare protagonisti, in prima persona, prendere l’iniziativa per provare a trovare forme di vita connessa non solo sostenibili ma addirittura che contribuiscono al bene, che migliorano la vita delle persone. è tutta una sfida ampia che abbiamo di fronte come genitori, come figli, come insegnanti – ciascuno ha il suo posto-, ma credo che sia veramente la sfida più importante: cosa vuol dire la vita buona connessa!